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Frammenti di un percorso storico: dalla preistoria all’alto Medioevo ai giorni nostri, un mutamento continuo.
L’area del Comune di Riva Ligure ha sempre attratto: vicinanza della costa e dei corsi d’acqua, salubrità dell’aria, panorami aperti e ricchezza del terreno. Tutti caratteri utili. Si comincia con l’insediamento di Monte Grange, ai limiti dei confini occidentali del Comune. Siamo nel periodo del Bronzo finale, almeno tra X e VIII sec. a.C.. In età preromana e romana si scende a valle, presso la curva del capo Don. Questo insediamento, detto di Costa Balenae, giunge fino all’alto Medioevo, con la presenza di una grande chiesa, di un fonte battesimale e di molte sepolture. La sua fine è ancora misteriosa e si confonde con la storia una leggenda che vuole il fondo Porciano, di origine romana e corrispondente alla zona a ridosso della Riva, donato dall’esattore del fisco Gallione addirittura a San Siro, vescovo di Genova.
Dal 1029 e con la donazione della marchesa Adelaide di Susa nel 1049, compare sulla scena il monastero benedettino di Santo Stefano di Genova, che nel corso del tempo amplia i suoi diritti spirituali e materiali su di un ampio territorio che va dalla zona dell’attuale Santo Stefano al Mare fino al fossato dei Casai, per poco ancora entro l’attuale Comune di Riva Ligure. L’intera zona viene detta “Villaregia” e messa a coltura con seminativi (cerali e ortaggi) e soprattutto grandi vigne. I frati si scontrano più volte con i poteri signorili vicini, come i Clavesana, signori di Taggia fino al 1228 e soprattutto come i Lengueglia, che rivendicano diritti sui centri di Cipressa e Terzorio nonché la riscossione di tasse ecclesiastiche su molti abitati, fin dal 1153. L’abate di Santo Stefano promuove la prima carta statutaria della Liguria occidentale già nel 1217. Nel 1277 sarà la volta degli statuti per Cipressa e Terzorio. Nel frattempo i Cistercensi si erano insediati sopra il capo Don, in territorio allora taggese: davano così origine alla fattoria del monte Grange. Nel corso del XIV secolo diminuisce la forza di governo del monastero: la popolazione si compatta lungo la costa e nascono compiutamente gli abitati della Riva, verso la chiesa antica di San Maurizio e di Santo Stefano. Rappresentanti della famiglia Doria si inseriscono nel controllo del potere locale. Il convento non può far fronte ai prestiti contratti e nel 1353 Nicolò Doria ottiene il territorio di Villaregia, che viene immediatamente ceduto al Comune di Genova. L’abitato di Riva entra così a far parte della podesteria di Taggia. Riva, nota allora come “Riva di Taggia”, diventa lo scalo marittimo principale della città capoluogo, con l’attività di marinai, cantieri navali, fabbricanti di botti. La seconda metà del XVI secolo è rovinosa: l’abitato viene quasi del tutto abbandonato e lo scalo marittimo rimane quasi del tutto inutilizzato. Ne sono causa le incursioni dei pirati barbareschi: ben cinque dal 1551 al 1562, con un gran numero di sequestri di abitanti e la distruzione di molte case. Il pericolo diminuisce dopo la sconfitta musulmana a Lepanto (1571) e con la costruzione della fortezza difensiva.
Nel frattempo, i rapporti con Taggia non erano sempre sereni. Riva ha pure tentato di rendersi autonoma, soprattutto all’inizio del XVIII secolo. Il Settecento è stato un periodo di grande sviluppo, legato alle fortune agricole e commerciali. In quel tempo viene costruita la nuova ed imponente chiesa parrocchiale. Ricche famiglie taggesi, come i Lombardi, stabiliscono la residenza di campagna a Riva: nel loro palazzo, ora comunale, viene ospitata Elisabetta Farnese, promessa sposa a Filippo IV di Spagna, nell’anno 1714. La vita rivese è in perfetto equilibro con la Natura, tra mare e compagna. Ancora all’inizio del XX secolo ci sono confronti territoriali con Taggia: Riva è ormai comune autonomo, nel Regno d’Italia. Il secondo dopoguerra segna la grande espansione abitativa, con un settore floricolo in grande crescita e la richiesta di edilizia per le vacanze al mare. Alle famiglie locali si aggiungono via via immigrati calabresi (soprattutto di Papasidero di Cosenza) ed abruzzesi, fino a comporre oggi l’originale sistema sociale della località.
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